Stato dell'Italia meridionale, nato nel XIII sec. sotto la dinastia
angioina, quando Napoli e il suo territorio divennero il fulcro del complesso
statale; cessò di esistere nel 1860, quando venne incorporato al Regno
d'Italia. L'esistenza di un
R. di N. si può far risalire al 1282,
quando i re angioini, a seguito della sollevazione dei Vespri, persero la
Sicilia. La guerra del Vespro, che seguì, rese nel 1302 l'isola
definitivamente soggetta agli Aragonesi. La pace di Caltabellotta (1302)
sancì la fine della ventennale guerra e conservò però agli
Angioini il titolo di re di Sicilia mentre gli Aragonesi ottennero quello di re
di Trinacria. Nonostante le intenzioni rivendicative degli Angioini sulla
Sicilia, il perdurare della situazione venutasi a creare dopo la pace di
Caltabellotta impose nell'uso le due denominazioni di
R. di N. e di Regno
di Sicilia. Quando Alfonso V d'Aragona tornò a unire le due parti
continentale ed insulare del Regno, assunse il titolo di
rex utriusque
Siciliae (1443). Solo nel 1759, con Ferdinando di Borbone, la denominazione
di
R. di N. assunse valore costituzionale; nel 1816 fu cambiata in
Regno delle Due Sicilie, fino a quando il Regno fu unito all'Italia nel
1860. ║ La Monarchia angioina si protrasse dal 1266 fino al 1442. La
necessità di essere sostenuto dalla feudalità nella lunga guerra
di riconquista della Sicilia, impose al re Carlo II, figlio e successore di
Carlo I, la concessione di nuovi privilegi ai baroni (capitoli di S. Martino,
1289) determinando un indebolimento progressivo del potere monarchico. Tuttavia,
sotto
Carlo I (1266-85) e soprattutto durante il Regno del figlio
Carlo II (1285-1309), la città di Napoli s'abbellì e si
ampliò. Sorsero grandi chiese e ai due castelli Capuano e dell'Ovo se ne
aggiunse un terzo, Castelnuovo, eretto da Carlo I per propria dimora. Sotto il
lungo Regno di
Roberto (1309-43), fu fondato lo Studio napoletano, che
divenne uno dei più importanti d'Europa. Sotto i sovrani angioini, il
R. di N. divenne una roccaforte del guelfismo contro gli interessi
imperiali in Italia e come salvaguardia dal crescente potere della
nobiltà, ponendosi sotto la protezione dei pontefici via via succedutisi
(Martino IV, Onorio IV, Niccolò IV e Bonifacio II). Dopo la morte di
Roberto si aprì un periodo di lotte dinastiche. La corona passò
prima a
Giovanna I (1343-81), ma la mancanza di eredi diretti e
l'uccisione del suo primo marito, Andrea d'Ungheria, scatenarono una guerra di
successione tra il ramo ungherese e quello durazzesco degli Angiò, guerra
contrassegnata da avvenimenti quali l'entrata a Napoli di Luigi re d'Ungheria,
fratello di Andrea, l'assedio della città da parte di Carlo III di
Durazzo e la cattura di Giovanna (1381). Dopo il breve Regno di
Carlo III
(1381-86), la reggenza passò alla vedova,
Margherita (1386), cui
subentrò il duro governo di
Ladislao di Durazzo (1386-1414); egli
realizzò una politica di espansione verso Nord e di consolidamento
interno, acquisendo il Principato di Taranto. Nemmeno allora si spensero le
azioni rivendicative del pretendente Luigi II d'Angiò, che pose
ricorrenti assedi alla città dal 1391 al 1399; alla morte di Ladislao lo
scettro passò a
Giovanna II (1414-35), ultima sovrana della casa
d'Angiò. Durante il suo Regno si riaccese la rivalità tra i rami
angioini di Durazzo e di Provenza e
Alfonso d'Aragona (1443-58), il quale
poté, infine, occupare definitivamente la città (1443), riunendola
con il resto del territorio alla riconquistata Sicilia. Oltre ad accentuare
l'instabilità politica del Regno, le guerre di successione accrebbero il
potere dei baroni, che avevano partecipato ai conflitti parteggiando ora per uno
ora per l'altro dei contendenti, dividendosi in fazioni e alleandosi spesso con
potentati stranieri. Insieme alle spinte centrifughe e anarchiche del
baronaggio, costituivano un grave problema per la stabilità della corona
il grande potere della Chiesa e l'ingerenza delle classi mercantili dell'Italia
centro-settentrionale. Napoli aveva già assunto un carattere cosmopolita:
genovesi, fiorentini, provenzali si erano insediati nella città,
organizzandosi in quartieri, con fondaci, logge e chiese proprie. I traffici
commerciali aumentarono, specialmente quello marittimo, onde la necessità
di costruire, accanto ai due antichi porti (
Arcina e
Vulpulum), un
terzo, detto "porto di mezzo", a cui fecero seguito due nuovi arsenali.
L'avvento degli Aragonesi incrementò questa attività economica.
Alfonso I d'Aragona si sforzò di limitare lo strapotere dei baroni,
appoggiando l'elemento borghese e favorendo lo sviluppo di una burocrazia di
funzionari. Il sovrano riformò completamente il sistema tributario e
istituì il Sacro Consiglio al vertice della magistratura. In tal modo si
formarono organi amministrativi centrali e periferici e apparati di funzionari
che dipendevano dalla Corona, limitando il controllo feudale sul territorio del
Regno. Alfonso I d'Aragona fece vivere alla città uno dei momenti
artistici di massimo splendore, scegliendo Napoli quale sua residenza e
profondendovi somme enormi: rifece Castel Nuovo, danneggiato dalle continue
guerre, aggiungendovi l'arco di trionfo e decorandolo, nell'interno, della
superba Sala dei Baroni. Protesse le arti chiamando alla sua corte umanisti
celebri come Panormita, Valla, Crisolara. Incentivò l'industria della
lana e introdusse quella della seta. La popolazione crebbe per le continue
immigrazioni, fino a raggiungere i 100.000 abitanti alla fine del XV sec. Nel
1458 lasciò in eredità il Regno al figlio illegittimo
Ferdinando I (1458-94). Completamente italianizzato, si guadagnò
il favore del popolo napoletano e si segnalò come continuatore dell'opera
paterna nell'abbellimento della città. A lui si deve un primo ampliamento
della cinta delle mura, e sorsero durante il suo Regno il palazzo Cuomo, ora
sede del Museo Filangieri, quello di Diomede Carafa e la porta Capuana.
Politicamente Ferdinando favorì i Comuni contro i baroni, operando per il
consolidamento del potere regio. La reazione della nobiltà si
concretò nella grande congiura che ebbe il suo episodio più
sanguinoso nell'eccidio del 1486. Ferdinando sostenne la lotta contro i baroni
attraverso gli strumenti dell'esilio, dell'imprigionamento e della confisca dei
beni, ottenendo in tal modo un'effimera riaffermazione dell'autorità
regia. Quanto fosse poco consolidato il potere aragonese lo si vide con i
successori di Ferdinando (
Alfonso II, Ferdinando II, Federico), i quali
non riuscirono ad opporre alcuna resistenza alla breve occupazione francese da
parte di
Carlo VIII (1494-95) e all'arrivo successivo dell'esercito di
Ferdinando il Cattolico, del ramo spagnolo degli Aragona, che
rivendicò con successo la legittimità di successione contro il
ramo napoletano della dinastia. Il
R. di N. smise quindi di essere
un'entità politica autonoma riconosciuta internazionalmente per diventare
per oltre due secoli un viceregno spagnolo. La soggezione alla Spagna
comportò una serie di conseguenze, dovute alla necessità, da parte
dei sovrani spagnoli, di evitare tensioni interne e contrasti con la Chiesa.
Ciò li indusse da una parte a non opporsi all'invadenza ecclesiastica nel
napoletano e dall'altra a non contrastare eccessivamente la nobiltà, che
si assicurò numerosi privilegi e una forte presenza sociale.
L'acquisizione da parte della feudalità di diritti giurisdizionali cui la
Monarchia era scarsamente interessata permise ai baroni di subentrare nel
controllo della vita amministrativa e politica del regno. La preminenza
nobiliare trovò un freno solo nel rappresentante reale, ossia nel
viceré, poiché l'unica classe che avrebbe potuto acquisire un
certo peso, quella dei funzionari, era di fatto una borghesia di toga più
vicina alla nobiltà che opposta ad essa. Nonostante le difficoltà
interne, durante il Cinquecento il viceregno conquistò stabilità e
di conseguenza si registrò una ripresa dell'attività mercantile.
La produzione di cereali, olio, seta e lana alimentarono un vivace commercio di
esportazione. Il fatto che i commerci fossero però nelle mani di
forestieri pose forti limiti allo sviluppo della economia meridionale. Napoli
ebbe un incremento della popolazione e divenne la seconda città europea
dopo Parigi. Dal 1620 la ripresa dei conflitti tra le potenze europee richiesero
alla Spagna un enorme sforzo finanziario e militare, con un'accentuazione del
fiscalismo oltre ogni limite sopportabile. La crisi economica e politica che ne
seguì fu la base dei conflitti sociali culminati con la rivolta di
Masaniello (1647). L'allentamento del centralismo di Madrid lasciò
maggiore spazio alle forze locali rappresentate dai baroni e
dall'amministrazione regia. Nel 1700, alla morte di
Carlo II senza eredi,
la Monarchia spagnola si trovò ad affrontare una guerra di successione
che portò sul trono napoletano
Carlo VI d'Asburgo (1707). Durato
fino al 1734, il dominio asburgico si oppose alle continue ingerenze
ecclesiastiche nella vita civile del Regno, sostenuto in questo da una nuova
generazione di intellettuali napoletani di ispirazione ormai preilluminista.
Dopo decenni di stagnazione culturale, la cultura napoletana si aprì a
quella europea e conobbe una nuova fioritura. Questo fervido clima produsse, tra
l'altro, l'
Istoria civile del Regno di Napoli (1724) di P. Giannone, dove
si affermava la preminenza dello Stato sulla Chiesa. Le vicende dinastiche
portarono nel 1734 un ramo cadetto dei Borboni di Spagna sul trono napoletano.
Con
Carlo, figlio di Filippo V, Napoli si riunì alla Sicilia,
venendosi così a ricostruire l'unità del Regno. Nel 1758 Carlo,
divenuto re di Spagna, lasciò la corona al figlio
Ferdinando IV.
Durante il Regno di Carlo e, in parte, del suo successore, la cultura e
l'economia furono incentivate attraverso l'attuazione di ardite riforme
politico-sociali. Nel campo degli studi venne riformata l'università e
istituita, prima in Europa, la cattedra di Economia politica, affidata a A.
Genovesi. Furono fondate l'Accademia Ercolanense, l'Officina dei Papiri e nuove
scuole. L'agricoltura ebbe un incremento della produzione e modificò
progressivamente gli orientamenti colturali privilegiando l'ulivo, la vite, la
frutta, i cereali. Tutto, però, in un clima di grandi contraddizioni e
all'interno di un sistema feudale che limitò considerevolmente la
possibilità di accedere a una formazione culturale e tecnica adeguata. La
ripresa produttiva consentì comunque la costituzione di una borghesia,
che attinse alla cultura illuministica che trovò in Napoli uno dei
principali centri di diffusione. L'opera di riforma dei due sovrani
culminò con la soppressione del tribunale del Sant'Uffizio e con
l'espulsione dei Gesuiti dal Regno nel 1776. La città fu arricchita di
nuovi, insigni monumenti: oltre ai palazzi reali di Caserta, di Portici, di
Capodimonte, furono costruite opere pubbliche come il teatro S. Carlo e il reale
Albergo dei poveri. Questa fase riformistica della Monarchia borbonica, attuata
soprattutto dal ministro B. Tanucci e ispirata al pensiero di Giannone e
Genovesi, corrispose ai desideri della borghesia illuminata. La Rivoluzione
francese però, con le ripercussioni politiche che ebbe nel Regno
(formazioni di società patriottiche, prime cospirazioni), interruppe la
collaborazione politica fra Monarchia e classe dirigente. L'adesione di
Ferdinando alla coalizione antifrancese provocò l'occupazione del Regno
da parte dell'armata del generale Championnet (1798), davanti all'avanzare del
quale la corte preferì fuggire in Sicilia lasciando alla plebe, sulla
quale ormai la Monarchia si appoggiava, il compito di opporre resistenza ai
Francesi. La breve ed eroica stagione della Repubblica partenopea si concluse
nel 1799 con la restaurazione reazionaria, realizzata attraverso condanne a
morte, l'esilio o il carcere. Nel 1806 il re fu costretto a fuggire nuovamente
per l'instaurarsi della supremazia napoleonica in Europa. Il
R. di N. fu
costituito come Regno indipendente dapprima sotto
Giuseppe Bonaparte
(1806-08) e poi sotto
Gioacchino Murat (1808-15). Durante il decennio
napoleonico furono attuate riforme che completarono quelle del primo periodo
borbonico: abolizione della feudalità, nuova regolamentazione della
proprietà fondiaria, introduzione dei codici napoleonici. Nel totale
rinnovamento avvenuto, Napoli venne dotata di istituti di cultura
(Società reale, Orto botanico). Quando nel 1815 la caduta di Murat
permise il ritorno di
Ferdinando IV, il
R. di N. e quello di
Sicilia vennero fusi nel Regno delle due Sicilie. Con il ritorno dei Borboni
l'opera di progresso civile non si interruppe del tutto, ma l'abolizione di
molte riforme francesi e il rigido accentramento reale rinfocolarono
l'avversione della classe dirigente contro la restaurazione borbonica, sfociata
nei moti carbonari del 1820-21. Il re concesse la Costituzione, salvo poi
chiedere l'intervento degli Austriaci.
Ferdinando II (1830-59)
tentò di dare nuovo impulso al progresso civile promuovendo opere
pubbliche e concedendo ampie amnistie. A lui si devono tra l'altro la ferrovia
Napoli-Portici, la prima costruita in Italia (1839), e l'Osservatorio vesuviano
(1844). La cauta politica di riforme avviata dal re nel 1840 sotto la pressione
dell'intellettualità liberale fu travolta dai moti del 1848. Concessa la
Costituzione, il 15 maggio il conflitto fra il re e il Parlamento eletto
degenerò in una sanguinosa repressione. Questi avvenimenti segnarono il
definitivo distacco tra Monarchia e classe dirigente e l'affermarsi della
coscienza nazionale nella società napoletana. La Monarchia sopravvisse
altri 12 anni, ma le sue basi erano ormai irrimediabilmente minate. Il
successore di Ferdinando,
Francesco II (1859-60) non poté
contrastare l'arrivo delle truppe di Garibaldi che, entrate a Napoli, unirono il
R. di N. a quello d'Italia.